Campania Bellatrix

“Campania felix” era il beneaugurante nome degli antichi Romani diedero al fertile “Ager campanus” , che si estendeva dalle pendici del monte Massico fino ai Campi Flegrei, collegandosi poi con l’area vesuviana. Nel Medioevo si sovrappose il nome “Terra di lavoro” ed essa arrivò a comprendere nel periodo borbonico la provincia di Caserta e parte del basso Lazio.
24 marzo 2013 - Ermete Ferraro

“Campania felix” era il beneaugurante nome degli antichi Romani diedero al fertile “Ager campanus” , che si estendeva dalle pendici del monte Massico fino ai Campi Flegrei, collegandosi poi con l’area vesuviana. Nel Medioevo si sovrappose il nome “Terra di lavoro” ed essa arrivò a comprendere nel periodo borbonico la provincia di Caserta e parte del basso Lazio.  Purtroppo, di quella prosperosa “Campania felix” resta ben poco ed altri attributi caratterizzano l’attuale Campania. Basta scorrere le statistiche fornite da Istat.it – Campania per rendersi conto che, a parte la negatività di degli indici economici, non c’è da stare allegri. Anche ponendosi nell’ottica dell’indice  F.I.L. (Felicità Interna Lorda), sul quale mi sono soffermato in un precedente articolo.  non sembrerebbero da considerare “felici” gli abitanti della Campania anche in base agli 11 “topics” considerati dall’ O.E.C.D. per il suo “Better Life Index” (casa, reddito, lavoro, comunità, educazione, ambiente, impegno sociale, salute, soddisfazione rispetto alla propria vita, sicurezza ed equilibrio tra vita e lavoro).

Vorrei però soffermarmi su un aspetto più specifico: l’assurda militarizzazione del territorio e del mare della mia Regione. Mentre per gli oltre 6 milioni di abitanti dei quasi 13.600 kmq di questo ancor splendido territorio tutti gli indici di sviluppo, sia economico sia sociale, registrano ormai da tempo un preoccupante trend negativo, l’unico aspetto in espansione, infatti, risulta quello della occupazione militare della Campania. Il Grande Dizionario Italiano di Aldo Gabrielli spiega che “militarizzare” vuol dire “sottoporre a norme e a disciplina militare categorie di cittadini o imprese, per ragioni di difesa esterna o interna”, nonché: “sottoporre a presidio militare, fortificare militarmente” un determinato territorio o una specifica installazione. E’ stato perfino formulato un indice di militarizzazione (GMI = Global Militarization Index), ricavato da vari aspetti ad essa relativi quali: il confronto tra spesa militare e PIL nazionale; il rapporto fra spese militari e spese per la salute; il raffronto tra la presenza di forze militari e paramilitari e quella di medici sul totale della popolazione e, infine, il rapporto fra numero di armamenti pesanti e la popolazione totale. Ebbene, in questo ambito, l’Italia si trova al 68° posto della classifica mondiale – che è guidata da Israele Siria e Russia – a breve distanza da Regno Unito e Spagna, con un GMI pari a 492.87. Ma se consultiamo le statistiche relative alla presenza nei vari Paesi di personale militare e paramilitare, l’Italia si piazza su posizioni decisamente più alte. Basti pensare che il rapporto militari e cittadini italiani è addirittura di 8,2 su1000 abitanti, ben superiore, in proporzione, all’indice degli stessi Stati Uniti (7,4 ‰) o del Regno Unito (6,7 ‰).

La militarizzazione  come occupazione militare della regione Campania da parte di forze armate straniere o internazionali (USA – NATO) è l’aspetto più grave, ma non si può trascurare l’impatto su questo territorio della presenza degli stessi militari italiani, delle varie armi e formazioni.

L’Esercito Italiano – esclusi comandi e stazioni locali dei Carabinieri – conta circa 50 caserme e basi operative, disseminate nella provincia di Napoli (19), Caserta (17), Salerno (11) ed Avellino (1) ( http://www.militariforum.it/forum/showthread.php?5407-Le-caserme-dell-Esercito-Italiano ).

L’Aeronautica Militare – oltre all’Accademia di Pozzuoli ed alla Scuola Specialisti di Caserta, presenta in Campania il 22° Gruppo Radar (GRAM) di Licola, il 9° Stormo di Grazzanise ed il 5° Gruppo Manutenzione Veicoli (GMV) di stanza a Capodichino ( http://www.aeronautica.difesa.it/ )

La Marina Militare, pur essendo la Campania un’importante regione marittima, presenta allo stato una scarsa presenza – eccettuati i porti nuclearizzati di Napoli e Castellammare di Stabia e la diffusa presenza della Guardia Costiera – delegando di fatto il controllo militare delle acque del basso Tirreno alla U.S. Navy ed al Comando Marittimo della NATO (con base a Nisida), alle cui operazioni partecipano come componenti dell’Alleanza le unità della M.M. italiana.

Ma, come accennavo prima, al di là delle strutture della “Difesa” italiana, la Campania spicca per la macroscopica la concentrazione di basi e comandi “alleati” e statunitensi. Fin dal dopoguerra, essi occupano militarmente le aree-chiave della nostra regione, sottraendole alla giurisdizione ed al controllo delle amministrazioni civili, rendendola un formidabile bersaglio strategico.

La“Campania Felix” dei Romani ha subito una mostruosa mutazione genetica, trasformandosi in un vero e proprio “pentagono della guerra”,  una delle succursali ‘globali’ del Pentagono di Washington. Che non esagero affatto lo dimostra l’elenco che segue, che censisce le installazioni militari presenti sul territorio campano:

Provincia di Napoli

  • Ischia >Antenna di telecomunicazioni USA con copertura NATO.
  • Lago Patria (Comune di Giugliano) NATO > Comando JFC (Sud Europa e Africa)
  • Licola (Comune di Giugliano) > Antenna di telecomunicazioni USA.
  • Napoli Capodichino: US NAVY > COMUSNAVEUR – AFRICOM,  Comando VI Flotta USA.
  • Napoli Camaldoli: Antenna di due radio della Marina USA (uso civile).
  • Napoli Bagnoli: NATO > ex Comando JFC Naples ; Comando NRF.
  • Napoli Nisida: NATO > Allied Maritime Component Command Naples.

Provincia di Caserta

  • Carinaro – Grazzanise > Base saltuaria USAF (aeronautica USA)- NSA  e Ospedale US NAVY
  • Baia Verde (Comune di Castelvolturno – CE) >  zona radar della NATO
  • Mondragone/ Monte Massico > Ex base USA e NATO (sotterraneo antiatomico)

Provincia di Avellino

  • Montevergine  > Stazione di comunicazioni USA.

Provincia di Salerno

Persano > Poligono di tiro dell’E.I., utilizzato anche dalla NATO

Tenuto conto della ridotta estensione territoriale di questo “pentagono della guerra”, si capisce meglio quanto assurda e pericolosa sia stata trasformazione di terre ancora produttive e di notevole interesse ambientale e storico in sedi permanenti dell’imperialismo guerrafondaio. Ai punti nevralgici di quest’irregolare pentagono troviamo: (a) Napoli (sede del Comando Supremo della US Navy per l’Europa e l’Africa, ma anche dell’ex Comando JFC-NATO di Bagnoli e del NavSouth di Nisida, tuttora parzialmente operativi); (b) Giugliano in Campania (dove, presso il Lago Patria è ora localizzato il nuovo Quartier generale Comando delle forze congiunte della NATO, a breve distanza dal suo Centro Radar di Licola); (c) l’area dell’Alto Casertano (al cui interno ricadono sia l’aeroporto militare e la base di supporto della US Navy di Gricignano d’Aversa, sia due postazioni teoricamente in disarmo,  come la zona radar di Castelvolturno e l’ex base antiatomica NATO-USA, celata nelle viscere del Monte Massico (Mondragone).

Se disegniamo una rudimentale figura, che abbia come lati: (i) Bagnoli – Licola (20 km); (ii) Licola – Gricignano  (35 km); (iii) Gricignano – Lago Patria (35 km); (iv) Lago Patria – Capodichino (30 km); (v) Capodichino – Bagnoli  (15 km), il  perimetro del nostro “Pentagono” campano misura 135 chilometri. Trattandosi d’un pentagono irregolare, la misura della relativa superficie andrebbe ricavata diversamente, ma ipotizzando un lato medio di 27 km (135:5) ed applicando la formula relativa, scopriamo che l’area circoscritta dal perimetro di questa occupazione militare è di circa 1.254 kmq, ossia la decima parte dell’intero territorio regionale.

Eppure il fatto che otto installazioni non italiane presidino ed occupino militarmente un decimo della Campania – sommandosi alle 50 dell’Esercito Italiano, alle 5 dell’Aeronautica Militare ed a ben due porti militari e nucleari – non sembra costituire un problema per la maggior parte dei suoi cittadini. Sarà perché questo genere d’informazioni circolano poco e si fatica molto a farle conoscere. Sarà perché da anni le persone si sono abituate a vedere soldati col mitra che presidiano le strade, i tribunali e perfino le discariche. Sarà che hanno dovuto già sopportare di tutto, dalla chiusura delle fabbriche e degli esercizi commerciali alla disoccupazione giovanile galoppante, per cui gran parte delle forze nuove per le forze armate professionalizzate continuano a provenire proprio da questa “infelix” regione. Preoccupa però che 6 milioni di cittadini italiani sembrano essere in larga parte inconsapevoli – o comunque rassegnati – di fronte alla crescente militarizzazione della Campania ed ai rischi che comporta per la democrazia, la sicurezza, la salute e, soprattutto, per la pace.

Gli abitanti di Napoli e di Castellammare di Stabia, ad esempio, convivono da decenni col rischio nucleare, per la presenza di natanti a propulsione atomica nei loro porti, eppure nessuno finora si è degnato d’informarli adeguatamente del pericolo che corrono e dei piani di emergenza predisposti, sebbene da tempo si tratti d’un obbligo di legge (D. Lgs. 230/1995).

I cittadini giuglianesi, poi, si trovano da due mesi già operativo sul loro territorio un mega-comando “Alleato”, costato 191 milioni di euro (di cui 21 sborsati dalla loro Regione e dalla loro Provincia) e nel quale sono ospitati 2.100 militari e 350 civili. Questo ingombrante e fastidioso neoNATO (330.000 mq di superficie, con 280.000 metri cubi di edificazione ed una previsione di 5.000 nuove presenze in zona), accanto allo storico Lago Patria, è stato costruito inopinatamente su un’area particolarmente inquinata da decenni di incendi e sversamenti abusivi di rifiuti – alcuni dei quali tossici e nocivi – che ricade nel c.d. “triangolo della morte” (Giugliano-Acerra-Castelvolturno), gestito dalla Camorra SpA. Eppure tutto questo sembra perfettamente naturale e le autorità locali e regionali si lanciano in sperticate lodi di questa struttura che la stessa NATO ha definito un “quartier generale di guerra (warfighting headequarters), invitando bellicosamente il leone simbolo del JFC a “ruggire”.

Gli stessi Napoletani che abitano nella zona di Capodichino, oltre a subire quotidianamente l’inquinamento acustico degli aerei che decollano ed atterrano nell’omonimo aeroporto internazionale civile, convivono da anni con una delle centrali militari più importanti del mondo, il Comando Europeo ed Africano delle Forze navali americane, competente su un’area strategica enorme, che va dal Polo Nord a quello Sud, dal Mediterraneo al Mar Caspio. Eppure tutto ciò sembra ormai far parte dell’ordinario, come se fosse normale che una città – medaglia d’oro della Resistenza per essersi liberata da sola dall’occupazione nazista – debba subire passivamente l’occupazione militare USA e NATO a distanza di 68 anni dalla fine della guerra.

La scomoda verità è che il “pentagono della guerra” che ho appena descritto è la dimostrazione tangibile che chi governa l’Italia non ha nessuna intenzione di onorare l’art. 11 della sua Costituzione e, soprattutto, che la sovranità del nostro Paese è tuttora pesantemente limitata da un complesso militare-industriale al quale sembrerebbe quasi onorato di appartenere…

Ciò significa che il compito per il movimento antimilitarista e pacifista è enorme e che la sua forza attuale è ancora molto inferiore a quella occorrente. L’abolizione del servizio militare di leva – con la conseguente eliminazione del servizio civile degli obiettori di coscienza e della stessa componente civile della difesa, faticosamente conquistata – ha di fatto impedito che centinaia di migliaia di giovani si sentissero coinvolti ed impegnati in prima persona. Il resto lo ha fatto il processo di de-ideologizzazione, che ha cancellato poco alla volta ogni analisi critica dell’attuale sistema di potere e del modello di sviluppo cui è asservito, grazie anche alla banalizzazione e massificazione del pensiero unico neoliberista, cui ci ha abituato il grande fratello mediatico.

Ecco perché la lotta nonviolenta per smilitarizzare la Campania e denuclearizzare il suo mare ha bisogno di un nuovo slancio e di una vasta campagna di educazione alla pace ed alla resistenza civile. Per fare questo deve proseguire l’opera di controinformazione e di sensibilizzazione, a partire dagli abitanti delle aree più direttamente coinvolte in quest’assurda escalation militarista. Solo così – con una lotta civile, popolare e nonviolenta – potremo “togliere le basi” alla guerra globale.

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