Adista n. 22, 9 giugno 2012

Grandi manovre in Campania.

Associazioni contro il comando nato a lago Patria
9 giugno 2012 - Gianpaolo Petrucci

Ci risiamo. Come già accaduto per il superprogramma militare Joint Strike Fighter – riguardante l’acquisto di cacciabombardieri F35 e l’assemblaggio presso l’aeroporto militare di Cameri (v. Adista nn. 26, 79 e 82/11, e Adista Notizie n. 2/12) – ancora una volta si procede con operazioni di militarizzazione dei territori senza un adeguato coinvolgimento delle comunità locali, ignorando l’importante impatto ambientale e sociale dell’iniziativa e nel totale silenzio dei media nazionali. E con la solita promessa di un sicuro rilancio dell’economia e dell’occupazione locale.

A scendere in campo, questa volta, è il “Comitato Pace, Disarmo e Smilitarizzazione del Territorio-Campania”, nato su impulso del locale Nodo Lilliput nel 2006 e di cui fanno parte, tra gli altri, Acli Arenella (Napoli), Gruppo Mani Tese di Napoli, PeaceLink Campania, Pax Christi Napoli, Rete Lilliput Napoli e Scuola di Pace (info: www.pacedisarmo.org). La rete di associazioni «vuole richiamare l’attenzione dei cittadini di Giugliano e di tutta la Campania» sulle nefaste conseguenze del cosiddetto piano di “scudo antimissile” – approvato in via definitiva da un vertice Nato riunito a Chicago fino al 21 maggio scorso – e dell’avvio del Comando Nato nel territorio di Lago Patria, sul litorale di Giugliano in Campania (Na).

«Il territorio campano paga già ampiamente la strategia di militarizzazione e di guerra che, in violazione dello spirito e della lettera della Costituzione, è stata attuata da tutti i governi che si sono succeduti», si legge in un comunicato del 26 maggio, diramato per invitare la cittadinanza ad un’assemblea pubblica il 28 maggio, durante la quale sono intervenuti anche il missionario comboniano Alex Zanotelli e il saggista – nonché militante ecopacifista ed antimilitarista – Antonio Mazzeo.

Secondo il Comitato, lo “scudo antimissile” «riafferma la strategia della guerra preventiva. Ciò comporta che immediatamente saranno fatti funzionare insieme intercettatori, satelliti e radar, per creare una rete pronta a lanciare attacchi anche nucleari in caso di stato di allerta. La base di Lago Patria, che sarà sede del nuovo Comando Nato per l’Europa Meridionale (Jfc), s’inserisce a pieno titolo in questo quadro». E mentre si illude la cittadinanza con la promessa di future prospettive di sviluppo, allo stesso tempo si tacciono i diversi rischi e violazioni – oltre quella “costituzionale”, data la progressiva occupazione dell’area con istallazioni e tecnologie militari deputate ad una strategia d’attacco – che il programma porta con sé.

Rischi per la sicurezza: «Il Comando Nato di Lago Patria, con il centro radar di Licola e la base Us Navy di Gricignano, costituisce il vertice di un pericoloso “triangolo della guerra”, esponendo una popolosa area a possibili rappresaglie ed attentati». Per la salute: «Inquinamento dei terreni, delle falde e di tutta l’area fra Castelvolturno, Giugliano ed Acerra, dovuto a sversamenti abusivi di rifiuti tossici e nocivi. La Nato si stabilirà proprio in questo famigerato “triangolo della morte”, aggiungendovi l’inquinamento elettromagnetico delle sue enormi antenne». Per l’ambiente: «Ad aggravare l’attuale inquinamento di suolo, aria, acque interne e marine e perfino dell’etere, il Jfc di Lago Patria (330mila metri quadri, 280mila metri cubi di edificazione, 2.500 persone interne al complesso e circa 5mila nuove presenze complessive previste in zona) complicherà la viabilità ed alimenterà il “triangolo del saccheggio ambientale”, con nuove cementificazioni, impermeabilizzazioni del suolo e scarichi fognari».

«Questa storia è gravissima: l’Italia gioca, sempre più, un ruolo militare strategico nel Mediterraneo», ha commentato ad Adista Zanotelli. «Rimango sconcertato dai silenzi che si sono abbattuti sulla vicenda negli ultimi due anni. Non solo da parte dei media nazionali. Anche il movimento pacifista italiano è stato latitante, perché oggi è spaccato e frammentato. Affinché la nostra azione diventi davvero incisiva, bisognerebbe sedersi intorno ad un tavolo, organizzare una segreteria nazionale, avviare una campagna a livello italiano ed europeo. E invece siamo rimasti soli». Come si muove la Chiesa locale?, chiediamo ad p. Alex. «C’è la crisi e c’è un Sud del mondo disastrato. Ma il settore militare continua ad assorbile risorse immense senza che nessuno dica nulla. E qui la Chiesa, anche quella italiana ed europea, non è tanto diversa… dovrebbe far sentire di più la sua voce di denuncia».

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