Il sottomarino perduto dai sovietici rilancia la guerra dei mari

La Cia e la missione segreta contro l’Urss. Il mezzo era svanito nel Pacifico e considerato ormai perduto
22 marzo 2020 - Guido Olimpio

Profilo Twitter della Cia, 18 marzo. Poche righe ed un link ad un testo per ricordare una notizia di storia, un pezzo di guerra fredda. Quarantacinque anni fa — scrivono — il giornalista Jack Anderson rivela al mondo i dettagli completi della missione impossibile. Il recupero del sottomarino sovietico K-129 da parte della Cia, un mezzo svanito nel Pacifico e considerato ormai perduto.

È l’inizio della primavera del 1968, l’unità sovietica è impegnata in un pattugliamento quando scompare, non manda più contatti. Mosca la cerca, ma con scarsi risultati. Non ha strumenti adeguati e ritiene che neppure gli avversari siano in grado di farlo. Invece, l’Us Navy si è mossa, i suoi sensori hanno captato un evento, probabilmente un’esplosione. Il successivo «rastrellamento» consente di localizzare il relitto a 2.600 chilometri a nordovest delle Hawaii, ad una profondità di 4.600 metri.

Per l’intelligence e il Pentagono mettere le mani sui resti del K-129 è vitale, sperano di scoprire dettagli sui missili a testata atomica, sulla costruzione dello «squalo», sui codici segreti della Marina sovietica. E per questo lanciano un’operazione che durerà diverso tempo — quasi sei anni — in quanto costruiranno una nave ad hoc con la collaborazione del miliardario Howard Hughes, personaggio originale, dentro a mille storie, stravagante e capace di tutto. Nasce così la Glomar Explorer, dotata di gru e attrezzature che devono essere calate sul fondo per poi tirare in superficie il «vascello».

Il Project Azorian — questo il nome in codice — si sviluppa tra depistaggi, cortine fumogene e trucchi. La Cia vuole impedire che le spie d’oltre- cortina si accorgano del piano e c’è poi la necessità di tenere alla larga occhi troppo curiosi, compresi quelli dei media, che subiranno pressioni per non pubblicare i primi dettagli. Un vice direttore dell’agenzia visiterà il cantiere della nave indossando una parrucca, verranno compiuti diversivi e mosse.

La Glomar Explorer, ufficialmente una nave per la ricerca di minerali preziosi sul fondo marino — partirà finalmente da Long Beach (California) e nel luglio 1974 raggiunge il punto X, dove scatta la seconda fase. La gigantesca «presa», la pesca delle componenti del sottomarino. Quali? Infinite le teorie, tra quelli che ritengono che sia stato un successo completo e gli scettici che, invece, parlano di un risultato a metà (il vascello si spezzerà durante il recupero). Si ipotizza che gli Stati Uniti siano entrati in possesso di siluri ed altro materiale top secret. Nonostante il guscio di sicurezza il Kgb fiuta qualcosa e alcune navi saranno inviate nella zona senza però poter contrastare i rivali. Che riserveranno l’onore delle armi ai caduti.

Tra i rottami ci sono infatti anche le salme di sei marinai: saranno sepolti in mare, con una breve cerimonia funebre accompagnata dagli inni americano e sovietico. Un saluto documentato da un filmato che sarà poi consegnato, nel 1991, all’allora presidente Boris Eltsin. Oggi chiunque lo può vedere su Internet (YouTube). Sarà, invece, Jack Anderson a raccontare tutti i passaggi il 18 marzo del 1975, scoop lanciato nonostante le autorità statunitensi tentino di metterci sopra un pesante coperchio. Il New York Times, che si era piegato dalla richiesta del governo di mantenere il silenzio, aggiungerà altro.

Chissà se non esista un legame tra il post della Cia e un articolo dell’agenzia russa Tass uscito in questi giorni. Rivela come l’Aleksander Nevsky, sottomarino della classe Borei, sia riuscito a compiere un lungo viaggio di 42 giorni dal Mare del Nord fino al Pacifico senza che gli Stati Uniti se ne siano accorti.

Questo grazie alla sua silenziosità, all’abilità dell’equipaggio e alle manovre messe in atto per sottrarsi alla caccia. La Navy avrà la sorpresa quando il battello entra in porto, sottolinea ancora la Tass nella sua ricostruzione dell’episodio avvenuto nel 2015. Caso che ne ricorda un altro verificatosi nel Golfo del Messico dove si sarebbe infiltrata un’altra unità nucleare.

Le schermaglie Russia-Usa (senza dimenticare la Cina) si consumano con incursioni reali e quelle mediatiche su un fronte invisibile, quello negli spazi infiniti sotto la superficie del mare.

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