Il ruolo di Sigonella e delle basi americane in Italia nell’attacco Usa all’Iran
Il 13, il 15 e il 16 giugno 2025, dei Boeing P-8A Poseidon della Us Navy sono decollati dalla base di Sigonella e hanno sorvolato per ore il Mediterraneo orientale, in prossimità della costa israeliana e libanese.
A bordo, radar APY-10 capaci di scansionare migliaia di chilometri quadrati per rilevare obiettivi sottomarini, navi cargo sospette, attività militari anomale. Lo rivelano i tracciamenti raccolti da ItaMilRadar e confermati da osservatori indipendenti.
Non è routine. Quelle missioni di sorveglianza marittima si inseriscono in una più ampia catena operativa culminata nell’attacco condotto dagli Stati Uniti contro i siti nucleari iraniani di Fordow, Natanz e Isfahan, tra il 21 e il 22 giugno, sotto il nome di Operation Midnight Hammer. Un’operazione da B-2 Spirit e missili Tomahawk, con decolli dagli Usa e rotta attraverso il Mediterraneo.
A Sigonella, tutto è stato predisposto per il dispiegamento permanente dei Poseidon: hangar inaugurati nel 2022 per 26,5 milioni di dollari, aree di parcheggio ampliate, centri di manutenzione e decollo parallelo dei droni Global Hawk, Triton e AGS Nato. Tutti operativi per missioni Isr (Intelligence, Surveillance, Reconnaissance) nell’ambito del programma Bams (Broad Area Maritime Surveillance), il più ambizioso disegno di controllo navale Usa sul fianco sud della Nato.
Dalla Sicilia, oggi, partono le rotte che disegnano la guerra nel cuore del Mediterraneo. Non solo ricognizione: secondo fonti Osint, alcuni Poseidon hanno volato a quote insolitamente basse, sotto gli 800 piedi, configurando missioni di ricerca attiva contro obiettivi navali o sottomarini, potenzialmente sospettati di trasporto di armi verso gruppi ostili a Israele.
A confermare lo stato d’allerta, il passaggio di Sigonella dal livello “Bravo” a “Charlie”, segnale di rischio elevato per minacce di tipo terroristico o ritorsivo. È il massimo livello raggiunto dalla base negli ultimi dieci anni.
Sigonella non è un’eccezione. È un nodo di una rete fittissima. In Friuli, la base di Aviano è l’unica struttura italiana capace di accogliere i bombardieri stealth B-2 Spirit. Qui è attivo il 31st Fighter Wing, dotato di F-16 e pronto all’impiego degli F-35 e delle bombe nucleari B61-12. Anche se i B-2 sono decollati da Whiteman (Missouri), la catena logistica necessaria al loro passaggio nel Mediterraneo è transitata da Aviano, dove sono sarebbero atterrate alcune delle 30 aerocisterne KC-135 e KC-46 partite dagli Usa nei giorni precedenti.
A Camp Darby, in Toscana, il più grande deposito di munizioni Usa in Europa ha rafforzato i collegamenti col porto di Livorno. Dalle sue banchine, le armi americane transitano verso Kuwait, Bahrein, Giordania.
A Napoli, nel cuore della città, ha sede il Comando Naveur-Navaf che ha coordinato le operazioni del sottomarino Uss Georgia, da cui sono partiti i Tomahawk lanciati contro l’Iran. Nello stesso edificio lavora anche il Comando Congiunto Nato per l’intero Mediterraneo.
A Ghedi, in Lombardia, sono operative le nuove B61-12, nonostante anni di opposizione dei movimenti pacifisti. A Vicenza, la 173ª Brigata Aviotrasportata resta pronta a intervenire in Medio Oriente in caso di escalation terrestre. La rete si chiude. Ogni punto è connesso. Ogni base è funzionale all’altra.
I B-2 statunitensi
Il dettaglio più controverso resta il passaggio nel cielo. I B-2, decollati dagli Stati Uniti, hanno attraversato l’Atlantico e il Mediterraneo per colpire l’Iran. Secondo tracciamenti e testimonianze radar, la loro rotta è compatibile con il sorvolo della Fir (Flight information region) italiana — uno spazio aereo internazionale gestito da controllori italiani. Non ci sono prove pubbliche di un attraversamento dello spazio aereo italiano, ma nessuno lo esclude del tutto. Crosetto e Tajani hanno negato. «Nessun uso delle basi italiane», «nessuna autorizzazione richiesta». Ma il diritto internazionale distingue tra territorio sovrano e spazio aereo controllato. E in questo margine semantico si consuma il solito scarico di responsabilità: l’Italia non partecipa, ma accompagna.
Il parlamento non è stato informato. Il governo ha ribadito che nessuna richiesta ufficiale è pervenuta dagli Stati Uniti. Tuttavia, ogni movimento documentato — dal decollo dei Poseidon, al dispiegamento dei tankers, al transito degli F-22 che hanno attraversato la Sicilia— è avvenuto sotto coordinamento logistico statunitense, usando basi italiane. È l’effetto della Convenzione bilaterale Italia-Usa del 1951, mai aggiornata, che consente «attività militari» statunitensi in Italia sotto sovranità formale italiana, ma con gestione operativa statunitense.
L’Italia è dentro la guerra, senza dichiararla. È logistica attiva, intelligenza in tempo reale, piattaforma avanzata. Il governo nega, il radar conferma. E intanto si compie quella che è ormai una costante: l’Italia come retrovia silenziosa delle guerre altrui. Non è neutralità. È subalternità operativa mascherata da prudenza diplomatica.