La tortura è possibile se è astutamente soft e, soprattutto, democratica!

Di fronte al vergognoso verdetto emesso dal Tribunale di Genova, che mette sotto i piedi prove e testimonianze di ogni tipo, di fronte a decine di referti medici che attestano violenze e vessazioni subite ad opera di sbirri di quasivoglia tipologia e di fronte allo svolgimento di un dibattimento in cui persino alcuni dei torturatori presenti a Bolzaneto hanno ammesso il proprio ruolo attivo nelle violenze compiute, c'è da inorridire.
15 luglio 2008 - Michele Franco (Associazione Marxista Politica e di Classe)

Le ridicole, quanto ipocrite, "pene" emesse dal Tribunale di Genova per alcuni degli aguzzini di Bolzaneto è la fotografia reale dell'uso di classe che la "giustizia" incarna nella società del capitale. Di fronte a questo vergognoso verdetto che mette sotto i piedi prove e testimonianze di ogni tipo, di fronte a decine di referti medici che attestano violenze e vessazioni subite ad opera di sbirri di quasivoglia tipologia e di fronte allo svolgimento di un dibattimento in cui persino alcuni dei torturatori presenti a Bolzaneto hanno ammesso il proprio ruolo attivo nelle violenze compiute c'è da inorridire per tale sentenza.

A conti fatti il Tribunale di Genova è stato capace di derubricare ed edulcorare i reati ascritti alla quasi totalità dei poliziotti imputati producendo, da un lato, la palese copertura e l'assoluzione preventiva per i mandanti politici che hanno ideato e pianificato la repressione e, dall'altro, alcune pene simboliche per qualcuno dei torturatori presenti ed attivi nel garage Olimpo genovese.

Al di là delle chiacchiere questa sentenza sancisce l'esemplificazione di una possibile modalità di tortura soft adeguata e da articolare alla soglia del conflitto sociale in corso.

Se nelle giornate di Genova 2001 si è sperimentato, nelle strade e nelle caserme, un dispositivo di repressione ad ampio raggio (già anticipato nella primavera precedente a Napoli con la vigenza di un esecutivo di centro/sinistra) con questa sentenza si sancisce,anche formalmente, la praticabilità dell'esercizio di violenze psicologiche e fisiche sui fermati nelle varie manifestazioni.

Che questa consuetudine già è in atto non è una novità dell'oggi. Chi ha avuto la sventura di transitare per le questure o per le caserme dei carabinieri già è avvertito che, molto probabilmente, assaggerà sul proprio corpo la pratica in vigore in tali occasioni. Particolarmente i giovani delle periferie metropolitane, i migranti nel mirino delle campagne securitarie e tutti coloro i quali sono etichettabili come devianti mettono in conto che oltre alla "pena" devono sobbarcarsi ed accettare anche una buona dose di violenza.

Il Tribunale di Genova ci ha ricordato, ancora una volta, che la storia viene scritta da chi detiene il potere ed il monopolio esclusivo dell'uso della forza. Del resto il caso/Guatanamo e l'intero corollario di nefandezze consumate in ogni parte del globo, da parte dell'imperialismo, è stato paradigmatico di questa nuova situazione.

Da tale (amaro) dato occorre ripartire per riprendere concretamente, nei movimenti ed oltre, la critica di massa ad una "giustizia" la quale, nelle sue molteplici configurazioni quotidiane, su tutto l'arco delle contraddizioni sociali, scandisce i tempi ed i ritmi del dominio capitalistico e la cartografia dell'immanenza dello sfruttamento generalizzato in tutti gli interstizi societari.

Ogni voce dissonante con questo totalizzante procedere dell'attuale corso repressivo degli apparati statuali deve pronunciarsi, senza se e senza ma!

Molte delle vestali che si sono stracciate le vesti, nei giorni scorsi, a Piazza Navona a Roma, lamentando di vulnus alla democrazia ad opera di Berlusconi sono chiamati ad una prova di coraggio e di dignità capace di schierarsi pubblicamente contro questa sentenza.
Il tempo dei balbettii e delle camarille si è, definitivamente, consumato nel gorgo del mutamento politico in atto.

Tutto il resto - in buona o in cattiva fede - è complicità ed indifferenza verso una tendenza autoritaria la quale segna, pesantemente, questo scorcio della vicenda politica italiana ed approssima una ulteriore limitazione di tutti gli spazi e gli ambiti di lotta e di organizzazione.

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